Performance: il contributo che un soggetto apporta attraverso le proprie azioni al raggiungimento di un obiettivo.
Timothy Gallwey, padre del coaching moderno, definisce la performance con una formula molto semplice:
p=P-i, dove la “P” identifica il potenziale, e la “i” le interferenze.

La performance dipende da 3 fattori (identificati nella formula come interferenze):

  • Il mercato: questa è la variante su cui la possibilità di intervento è praticamente inesistente. Il mercato ha un suo movimento, studiabile e a volte prevedibile, ma difficilmente malleabile.
  • Il contesto: comprende tutte le dinamiche aziendali che non dipendono dall’individuo. Su questo punto si può lavorare a livello aziendale, ma non personale.
  • Voi: il lato su cui è più semplice lavorare, un insieme di competenze e abilità che possono fare la differenza.

Vista quest’analisi, possiamo concludere che un terzo della performance dipende dalla persona. E la persona può avere successo se ha le competenze necessarie per riuscire nel proprio lavoro. Questo evidenzia il bisogno di formazione, la necessità di allenare abitudini e comportamenti, migliorare e imparare nuove soft skill, per migliorare la performance.

Performance e formazione

La formazione che può incidere sulla performance, non è quella spot che si apre e si chiude in qualche ora d’aula, e non è neanche la formazione a priori, quella scolastica, che apparecchia il terreno di partenza, ma poi non può seguire l’utente nella sua crescita professionale.
Alla performance ci si allena con costanza e si migliora con il tempo, in modo ancor più incisivo nei casi in cui l’utente può confrontarsi con chi è più esperto per trarre insegnamenti ulteriori.

Perché la percentuale di persone coinvolte e migliorate da una formazione spot diretta e concisa è bassa. E il problema non è tanto il contenuto della formazione stessa, ma piuttosto la difficile applicazione pratica di ciò che viene insegnato in modo teorico e schematico.

Immaginiamo una formazione d’aula impostata su due giornate.
Il 5% delle persone coinvolte è predisposto all’apprendimento, e gli basta l’innesco: il solo fatto di trovarsi in aula spinge questi learner ad aprirsi alle nuove informazioni e a iniziare ad apprendere e migliorare. I restanti learner, invece, pur essendo interessati ad un miglioramento personale e professionale, e pur essendo attivi e concentrati, finita l’aula non hanno l’automotivazion per andare avanti da soli: queste persone hanno bisogno di un personal trainer che le motivi e le guidi durante tutto il percorso di apprendimento. Il coaching serve proprio a questo: a coinvolgere, agganciare e trattenere le persone.

Performance e obiettivi

L’obiettivo, a lungo termine, è quello di capire la corrispondenza tra best performer e learning animal, cioè capire chi ha fame di apprendimento e quindi rappresenta un potenziale per l’azienda. La formazione, in questo modo, diventa predittiva rispetto alla performance.

A trarre vantaggio dalla crescita personale e professionale, oltre alla persona singola e l’azienda, è anche il team: la performance aziendale viene infatti ormai quasi sempre misurata a livello di squadra, perché i servizi offerti si fanno sempre più complessi e non possono essere realizzati da una sola persona. Trovare il setting giusto per un team efficace ed efficiente non è compito semplice, ma la formazione intesa come percorso continuativo e monitorato delle persone in azienda aiuta anche a lavorare su quest’aspetto, mettendo in luce le capacità, le propensioni e le competenze peculiari di ogni risorsa.

Performance significa risultato, raggiungimento di un’obiettivo: e l’unico modo per portarla a termine è sviluppare le competenze necessarie in modo rapido ed efficace, per far fronte alle richieste di un contesto fuori dal nostro controllo e di un mercato in continua trasformazione.

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